Data: 
Lunedì, 7 Ottobre, 2019
Nome: 
Enrico Borghi

A.C. 1585-B

Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signore e signori del Governo, il tema di cui oggi discutiamo, quello della riduzione del numero dei parlamentari, è un tema rispetto al quale noi del centrosinistra, del Partito Democratico, arriviamo da un percorso di elaborazione e anche di proposte concrete non certo banale. Valgano per tutti due esempi dal punto di vista concettuale: le affermazioni e le proposte fatte a metà degli anni Ottanta dall'allora Presidente della Camera, Nilde Iotti, che faceva rilevare come, in un Paese in cui si erano moltiplicati i luoghi della decisione e della partecipazione democratica, si rendeva necessario un riallineamento della dimensione parlamentare; e valgano anche le asserzioni politiche e morali di Mino Martinazzoli, quando ci ricordava della necessità di ridurre al massimo la mediazione del professionismo politico, che in sé comprime lo spazio di partecipazione e di libertà delle comunità locali.

Tutte queste asserzioni, che sono proprie di una cultura riformista che arriva da lontano, avevano trovato, all'interno di quella che possiamo senza dubbio definire la più feconda e la più fertile esperienza del riformismo italiano alla guida del Paese, cioè la stagione dell'Ulivo, una proposta, che, dal punto di vista dei numeri, ricalca quasi fedelmente la proposta che noi ci accingiamo a votare. Quella stagione, conclusasi poi, come è noto, per la mancata volontà di Forza Italia di addivenire ad un percorso riformatore sui temi della giustizia, prevedeva la riduzione della Camera dei deputati in un numero compreso fra 400 e 500 e la riduzione del numero dei senatori a 200. E quindi, per una sorta di circolarità della vita politica, dopo vent'anni siamo ritornati dal punto nel quale avevamo preso i nostri passi.

Per noi il tema è esattamente quello di allora, per noi la questione è esattamente quella che un indimenticato e indimenticabile uomo di scienza, oltre che collega parlamentare, come Roberto Ruffilli, ebbe modo di definire, e cioè il modo con il quale la democrazia fa diventare il cittadino l'arbitro del potere. Per noi, il tema è come coniughiamo oggi e come decliniamo nel nuovo contesto storico e soprattutto come guardando avanti riteniamo di dare efficienza e modernizzazione all'istituto della rappresentanza parlamentare, le due questioni fondamentali che sono, da un lato, la capacità di rappresentare una società multiforme, diversa, peculiare, con il tema dell'efficienza delle istituzioni repubblicane. Perché per noi il Parlamento è al tempo stesso il luogo della garanzia della libertà e il luogo che riassume in sé una funzione di promozione sociale. Noi non dobbiamo dimenticarci che sono queste le motivazioni reali per le quali ci sediamo in quest'Aula e l'organizzazione del Parlamento è funzionale a questi obiettivi. E nel momento in cui noi discutiamo della dimensione di un organo, dobbiamo sapere che questa dimensione deve essere strettamente correlata con la capacità di questo organo di corrispondere a questi obiettivi fondamentali, sapendo che noi non siamo un sinedrio, né lo dobbiamo diventare, e sapendo che i recenti fatti della cronaca politica di questa estate ci dicono che, nei momenti in cui le giunture della democrazia vengono messe a dura prova, sono i Parlamenti a dare la risposta della capacità della democrazia.

Possiamo pensare a cosa è stato il percorso con il quale la Grecia è uscita da un drammatico evento che ha visto quel Paese sostanzialmente commissariato e che ha visto mettere al centro il Parlamento; possiamo pensare alla risposta e reazione dei parlamentari inglesi alla imposizione autocratica del loro Primo Ministro, che pretendeva di silenziare la più importante e la più antica istituzione parlamentare del mondo, ma possiamo anche pensare, colleghi, alla reazione di questo Parlamento, quando un esponente del Governo, da una spiaggia italiana, si è rivolto nei confronti dei rappresentanti della nazione in modo ingiurioso, intimando loro di ritornare tra questi scanni per dovergli conferire i pieni poteri.

Il punto, però, è interrogarci su come sia possibile che i Parlamenti intervengano, non solo nella straordinarietà della complessità dei momenti, ma nella ordinarietà, perché ancora le cronache di questi giorni, per esempio, ci interrogano e ci dicono che noi non siamo stati in grado di affrontare in maniera dovuta e compiuta questioni importanti e rilevanti come il tema della legislazione della questione del fine vita, su cui la Corte costituzionale addirittura ha imposto una scadenza temporale alle Aule parlamentari. Allora il tema dell'efficienza della rappresentanza è un tema decisivo, soprattutto in questa società nella quale l'intreccio tra comunicazione e decisione è praticamente quotidiano e acceleratissimo.

E sotto questo profilo, la ipotesi che noi ci apprestiamo a votare - per le motivazioni che dal punto di vista più specifico saranno meglio declinate da noi, dall'intervento del professor Ceccanti, che seguirà il mio - partono, però, da un assunto: per noi questo è un accordo politico ed è un passaggio in avanti significativo rispetto alle precedenti tre stesure, non solo perché vi è una costruzione complessiva, un'idea, un progetto, un pensiero di come debbano essere le istituzioni repubblicane in rapporto a questa esigenza che ho tentato di declinare, ma anche perché vi è un sostanziale passo in avanti rispetto alla precedente giustapposizione fra partner di Governo; e l'assenza costante, da questi banchi, della Lega non fa altro che confermare quanto dato di strumentalità vi è stato all'interno del percorso che fin qui è stato espresso da quel movimento.

Per noi questo è un accordo politico e vogliamo anche rimarcare l'importanza che noi attribuiamo al fatto che, fra poche ore, tutti i capigruppo della maggioranza su questo tema esprimeranno un documento congiunto. È un passo in avanti significativo, in un rapporto di fiducia tra forze politiche, perché la differenza che c'è tra il contratto e un accordo politico è che un accordo politico si basa sulla capacità dei contraenti di inverarlo costantemente nei loro atteggiamenti e in una logica di reciproca fiducia. Noi non abbiamo bisogno di un notaio, noi non abbiamo bisogno di firmare delle fideiussioni o delle cambiali in bianco, noi ci assumiamo reciprocamente degli impegni e sotto questo profilo il Partito Democratico, per primo, fa un passo in avanti, nella consapevolezza che altri ne seguiranno da parte degli altri partner di Governo. Perché questo è un passaggio di premessa, non è un punto di arrivo. Concludo su questo aspetto, signor Presidente. Questo voto deve essere funzionale per fare due operazioni: la ricostruzione del senso della politica, in una dimensione di società nella quale è in crisi il concetto stesso dello Stato, e la riprogettazione dei partiti sui quali la nostra democrazia rappresentativa si basa.

Vedete, l'antipolitica si è radicata in questi anni, anche a causa della chiusura a oligopolio dei partiti, di tutti i partiti, quelli vecchi e quelli nuovi. E questo tentativo, per parte nostra, vuole essere anche la scommessa con la quale archiviamo le troppe stagioni improduttive con le quali si è risposto alle crisi che hanno attraversato la nostra Repubblica in maniera sterile. È, quindi, un tentativo di riprendere in mano un'idea di politica, dentro la quale noi sappiamo che abbiamo bisogno che i partiti non siano più sovrastrutture della società, ma siano il luogo del dialogo dei cittadini. Sarà in questo modo che noi avremo, come dire, compiuto in maniera precisa il nostro mandato, evitando il rischio - che in questo caso sarebbe letale - che, in assenza di capacità di essere produttivi sotto questo aspetto, la politica si trasformi definitivamente in retorica, in spettacolo e in apparenza del potere.

Questa sì sarebbe la fine delle nostre istituzioni.